MIA PHOTO FAIR

Il diario di MIA, giorno 2 - Erik Kessels “il fotografo che non fotografa” Così gli album di famiglia diventano arte

Comunicato Stampa

 

Erik Kessels “il fotografo che non fotografa”
Così gli album di famiglia diventano arte



Che cosa resterà della fotografia? Che immagini avremo tra 80 anni? In che direzione insomma procede il medium fotografico nato nel 1839 nell’era della grande smaterializzazione? Domande e suggestioni che hanno caratterizzato la seconda giornata di MIA Photo Fair in corso ad Allianz MiCo a Milano, fino a domenica 14 aprile.

Una riflessione che ha preso le mosse dalla fotografia vernacolare per arrivare a discutere del futuro della fotografia e dell’arte nell’era dell’intelligenza artificiale e gli NFT.

Fotografia vernacolare che ha visto protagonista il lavoro del “fotografo che non fa le fotografie” Erik Kessels, artista olandese, curatore ed esperto di comunicazione visiva, intervenuto nel talk “Cosa resterà delle nostre facce”, dove ha dialogato con il giornalista e scrittore Michele Smargiassi. Kessels presente a MIA anche con il premio per gli under 35 Welcome to my Unknown.

Kessels fotografo che non fotografa, perché da anni è impegnato a lavorare su immagini private e anonime. Foto che spesso si ripetono in modo quasi ossessivo come quello di una signora centenaria che ha accumulato migliaia di immagini di lei, sempre ritratta mentre gioca al tiro a segno al Luna Park. Così come scatti dove spesso non succede nulla, di puro ricordo, e ancora immagini che contengono errori, perché per esempio sovraesposte.

Siamo immersi nelle immagini e sono numerose quelle che non utilizziamo, ma che per me diventano interessanti”. Una ricerca antropologica quella di Kessels particolarmente affascinato dagli album di famiglia, tanto che dal 1997 ha acquistato qualcosa come 15mila album fotografici. Foto di tutti giorni, momenti quotidiani, ricorrenze, matrimoni, foto dei figli e dei propri animali domestici. 

Per me è emozionante vedere come le persone compongono i loro album. In genere la serie inizia con il primo incontro, prosegue con il matrimonio, poi il terzo, quarto e quinto album è dedicato esclusivamente al primo figlio”. Le famiglie con più figli finiscono con inserire le foto indistintamente all’interno degli altri album, mentre se non ci sono figli, si fotografano i cani (fino a 8 album). E se non ci sono né figli né cani il soggetto preferito è l’automobile. 

Fotografie generate dalla stessa materialità delle foto, rimaste spesso conservate nei cassetti, e che assomigliano sempre di più a reperti archeologici di un’era che è destinata a scomparire, vista la progressiva e apparentemente inarrestabile smaterializzazione delle immagini.

Una rivoluzione prodotta dai profondi cambiamenti tecnologici, come l’intelligenza artificiale, ma anche nuovi strumenti quali NFT - non fungible token -  basati sulla tecnologia blockchain, che garantisce tracciabilità e autenticità dell'oggetto a cui si riferiscono.  Se ne è discusso nel talk “Il vintage digitale. Il caso NFT”, dove sono intervenuti Simone Arcagni, giornalista e docente universitario specializzato in nuovi media e cultura digitale, e Serena Tabacchi, Direttrice e Co-Fondatrice del MoCDA, Museo d'Arte Contemporanea Digitale, nato a Londra nel 2019.

NFT, come ha ricordato Tabacchi, che hanno acquisito notorietà proprio per il loro impiego nell’ambito artistico, un mondo che ora stanno contribuendo a modificare. “Le nuove tecnologie - rileva Tabacchi - stanno cambiando non solo il modo di esporre un’opera d’arte, ma di fruirne, e quindi la stessa professione del curatore, che deve essere in grado di dialogare con la parte tecnica per capire come usare al meglio i nuovi strumenti. E si stanno sviluppando nuove forme di mecenatismo, attraverso community digitali, che hanno dato visibilità ad artisti spesso sconosciuti dal mondo dell’arte tradizionale”.  

Simone Arcagni ha sottolineato la necessità di interrogarsi su come orientare la tecnologia e sperimentare nel modo migliore. “Dobbiamo provare a immaginare un mondo post digitale, nel senso di provare a immettere concetti diversi, stressandone i confini, senza dare per scontato che le tecnologie che usiamo possano funzionare solo in un unico modo”. Una necessità tanto più stringente anche considerando il tema della sostenibilità, perché in futuro, “l’attuale uso del digitale rischia di essere disponibile solo per un miliardo di persone”. 


CONTATTI CON LA STAMPA

Antonella Maia I M 349 4757783 I antonella.maia@mirandola.net

Caricato il 13/04/2024

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